di Assunta Scorpiniti (aprile 2020)
Questa foto mi è molto cara, e la pubblico per rendere anch’io omaggio allo scrittore del sogno e della libertà, Luis Sepùlveda, rimasto vittima, purtroppo, dell’implacabile male di questo nostro presente chiamato Coronavirus.
E per ricordare la sua prima (e credo unica) visita in Calabria, nel 2004, in occasione di un incontro culturale che si è svolto nel Castello Ducale di Corigliano, in cui è intervenuto sui suoi romanzi, a partire dal best seller mondiale “Storia di una gabbianella e di un gatto che le insegnò a volare”, e con continui riferimenti all’incessante impegno politico ed ecologista.
Il suo parlare al pubblico all’inizio mi era sembrato un po’ burbero, ma poi ho capito che era il modo appassionato, da “escritor de sinistra”, come lui stesso si è definito, con cui esprimeva le sue idee di combattente in prima linea per un mondo più giusto. Ricordo anche la grande gentilezza, nel dedicarmi, a fine incontro, la sua attenzione esclusiva per un’intervista (ero giornalista del “Quotidiano” e per “Il Crotonese”)
Non potevo non chiedergli del suo essere scrittore da par suo, capace di parlare all’anima della gente, ad ogni latitudine. “Lo scrittore – mi ha detto – deve sentire la voce emozionale della sua gente, del suo paese, e deve scrivere bene, se vuole partecipare al progresso”. E questo non solo per contribuire a vedere meglio le cose. “A cambiare il mondo – mi ha spiegato – devono essere gli uomini, con la partecipazione, il coraggio civile, i loro sforzi, specie i popoli di paesi dove sono accentuate le differenze tra sud e nord”.
Il grande Sepùlveda vedeva, infatti, molte analogie tra la sua terra sudamericana e la nostra; e quando, a tal proposito, gli ho chiesto, quale deve essere la partecipazione dell’uomo comune in contesti come possono essere la Calabria o il Cile, in perenne difficoltà o emergenza, mi ha risposto: “Andando sempre a votare… il voto è lo strumento più potente ed efficace per trasformare la società” (su questo invito a una profonda meditazione…).
Tra le tante cose belle che ricordo di quell’incontro, la tenerezza con cui ha parlato dei bambini, indicando la “Storia di una gabbianella” come la storia “più difficile” tra quelle scritte, nata “dal rispetto per i piccoli lettori, dalla riflessione sulla letteratura manipolata che si propina ai ragazzi senza tenere conto del loro mondo virginalmente poetico, della loro immaginazione pura”. E, ancora, la sua definizione di felicità: “Nel libro ‘La frontiera scomparsa’ il protagonista ‘anda’ in cerca della felicità; io la ritengo un’utopia, un sogno, che ognuno vive a suo modo… a me è capitato di viverla quando ho detto ai miei figli appena nati: benvenuto a questo mondo che m’impegno a rendere migliore di quello che ho trovato!”. Grazie, Luis Sepùlveda, tu hai sempre osato volare, ora tocca a noi.
—
LUIS SEPÙLVEDA IN CALABRIA
di Assunta Scorpiniti (in “Il Crotonese, 2004)
(Corigliano Calabro). “Lo scrittore deve sentire la voce emozionale della sua gente, del suo paese, e deve scrivere bene, se vuole partecipare al progresso”.
Questo ci ha detto Luis Sepùlveda, nel rispondere alle domande che gli abbiamo rivolto a margine dell’incontro con gli studenti calabresi avvenuto a Corigliano, nella cornice del Castello Ducale.
Scrivere “bene”, per il grande autore cileno è, infatti, un contributo a vedere meglio le cose, ma a cambiare il mondo devono essere gli uomini, con la partecipazione, il coraggio civile, i loro sforzi. E il riferimento è soprattutto ai popoli che vivono in paesi dove sono accentuate le differenze tra sud e nord.
“In questo vedo molte analogie tra la terra sudamericana e la vostra”, ci dice, con una convinzione che si fa particolarmente decisa, da scrittore “impegnato”, quando gli chiediamo come, secondo lui, può partecipare l’uomo comune che, in un contesto come può essere la Calabria o il Cile, deve far fronte alle emergenze e alle difficoltà del quotidiano. “Andando sempre a votare – è la risposta – il voto è lo strumento più potente ed efficace per trasformare la società”. Quindi mostra entusiasmo per la Calabria, scoperta come “terra e gente bellissima”, che completa “il rapporto emozionante” stabilito con l’Italia.
E’ alla sua prima visita nella nostra regione, dunque, Sepùlveda, che giunge puntualissimo nella fastosa Sala degli Specchi, traboccante di persone di tutte le età, in attesa con gli studenti. Ad accompagnarlo, dopo le tappe di Castrovillari e Cosenza, l’Assessore alla Cultura della Provincia di Cosenza, Donatella Laudadio e la Presidente della Commissione Cultura del Comune di Corigliano Adriana Grispo, organizzatrici dell’evento insieme ai responsabili dell’Ipsia “Nicholas Green”.
La Grispo introduce dicendo che la presenza di Sepùlveda “è segno di civiltà, democrazia, rispetto”, mentre l’Assessore Provinciale sottolinea che “è la degna conclusione di un progetto di educazione alla lettura sviluppato durante questa legislatura nelle scuole del territorio”.
Dopo i saluti istituzionali del sindaco Giovanbattista Genova, del consigliere provinciale Manfrinato, dell’Assessore Comunale Gaetano Gianzi, l’autore, conosciuto in Italia soprattutto per il romanzo “Storia di una gabbianella e di un gatto che le insegnò a volare”, si concede con grande disponibilità agli estasiati ammiratori, giunti dall’intero circondario.
“Sono venuto in Calabria con l’idea di un dialogo” – dice, aprendo il suo intervento breve, ma coinvolgente ed espressivo, anche per il forte accento sudamericano, messo in risalto da una battuta: “Parlo un italiano da emigrante, da extracomunitario, ma posso farmi capire, tutti ci riescono quando hanno qualcosa da dire…”.
Il suo discorso è incentrato sulla Spagna, patria d’adozione dopo l’abbandono del suo Paese, cui è stato costretto quale membro attivo dell’unità popolare cilena, durante il colpo di stato militare degli anni Settanta. Attraverso la metafora di un episodio vissuto tra le mura di casa, nelle Asturie, descrive al sua partecipazione alla “passione” vissuta dalla popolazione spagnola a seguito degli attentati dell’11 marzo.
E non ha remore a manifestare il suo credo politico, il suo essere escritor de sinistra, che punta il dito contro l’ “imperialismo nordamericano” nemico dell’umanità e un Presidente a suo avviso “espressione della lobby delle armi”, responsabile, tra l’altro, delle azioni “terroristiche” contro gli innocenti rinchiusi a Guantanamo.
“Il popolo spagnolo, decretando la sconfitta di Aznar, ha dato una lezione esemplare a tutta la sinistra d’Europa; spero – ha commentato – che anche in Italia la sinistra raggiunga l’unità che manca”.
Alle domande, incalzanti, degli studenti, risponde con la tensione che gli deriva dalle sue scelte ideali, facendo emergere, dalle pieghe delle tematiche affrontate, il suo percorso umano (dall’impegno per le problematiche ambientali con Greenpeace, all’amicizia con Chico Mendez, alla battaglia per salvare un fiordo in Patagonia, al carcere duro subito nel Cile dittatoriale) e quello di scrittore (la storia della gabbianella, “la più difficile” tra quelle scritte, è nata “dal rispetto per i piccoli lettori, dalla riflessione sulla letteratura manipolata che si propina ai ragazzi senza tenere conto del loro mondo virginalmente poetico, della loro immaginazione pura”).
Significativa, la definizione di felicità: “Nel libro La frontiera scomparsa il protagonista anda in cerca della felicità; io la ritengo un’utopia, un sogno, che ognuno vive a suo modo…a me è capitato di viverla quando ho detto ai miei figli appena nati:benvenuto a questo mondo che m’impegno a rendere migliore di quello che ho trovato!”.
Infine gli autografi, tanti, su libri, su semplici pezzi di carta che il segno dell’incontro con Luis Sepùlveda, uno dei più grandi scrittori contemporanei, rende preziosi e importanti.