di Assunta Scorpiniti
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Il crotonese Millia e la moglie Timica, di origine spartana, erano tra i più stretti seguaci di Pitagora. Narra Giamblico che un giorno, percorrendo, con alcuni compagni, il territorio di Taranto, subirono un agguato a opera dei soldati del tiranno Dioniso, che non sopportava di essere, in un certo senso ‘snobbato’ dai discepoli del filosofo di Samo. I pitagorici si diedero alla fuga, lasciando molto indietro gli inseguitori, ostacolati, nella corsa, dal peso delle armi. Avrebbero potuto salvarsi, se non si fossero imbattuti in un campo di fave, che, per una prescrizione della loro scuola, non potevano toccare, così preferirono farsi uccidere. I due coniugi, sfuggiti al massacro per le condizioni di Timica, incinta al nono mese, furono, invece, catturati e condotti al cospetto del dittatore, ma nemmeno sotto tortura rivelarono il motivo del “non poter calpestare le fave in fiore”, che provocò la morte dei compagni. “Astieniti dalle fave” era, infatti una proibizione di Pitagora e, quindi, un dogma della setta, sul quale, anche a Crotone, tutti mantenevano una segretezza assoluta. Un vero e proprio tabù, nel senso più letterale dato dal termine polinesiano “tapu” che significa sacro, separato, contaminato; da analizzare nella complessità dei suoi elementi poiché, afferma l’antropologo Giovanni Sole, “parla dell’esistenza e delle sue verità più profonde, raccontando l’esperienza umana”. A tale, affascinante ricerca, il prof. Sole, che è docente di Antropologia religiosa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria e di Antropologia delle Religioni presso l’Ateneo di Reggio Emilia e Modena, ha rivolto i suoi più recenti studi, confluiti nel saggio “Il tabù delle fave. Pitagora e il senso del limite”, da poco pubblicato da Rubbettino. L’oggetto dell’indagine è proiettato, nello sviluppo dell’opera, sulla scena di un mondo antico, descritto, nei suoi fermenti e nelle contraddizioni, da autorevoli narratori come Diogene Laerzio, Apuleio, Aristotele, Plinio, Erodoto e lo stesso Giamblico i quali, oltre a costituire la più preziosa fonte di informazioni sulla proibizione pitagorica, forniscono molti dettagli intorno alla vita civile, sociale, religiosa, economica e, sotto certi aspetti, privata dei nostri progenitori. In particolare offrono, nel contesto delle argomentazioni poste del prof. Sole, lo spaccato di una Crotone “placata”, nella situazione di scontro politico e sociale, dalla venuta, nel 530 a.C. del grande filosofo, che ebbe la capacità di imporre dottrina e prassi politica a tutta la comunità, e di far scoprire ai suoi adepti i segreti della vita equilibrata, fondata sull’armonia tra mente e corpo; di quella Crotone dai medici rinomati in tutto il Mediterraneo, e quindi, a sostegno delle tesi che attribuiscono al tabù un intento di prevenzione, con molta probabilità in grado di riconoscere sintomi ed esiti del “favismo”, la malattia ematica legata alla specie vegetale e presentata, nel volume, con ampi riferimenti scientifici e un’analisi rigorosa; della Crotone, infine, che su Pitagora e le fave aveva edificato le costruzioni immaginarie di miti suggestivi, ambientati nei bellissimi litorali jonici. Tutto ciò che Giovanni Sole utilizza, insieme ad altri documenti e riflessioni, per dimostrare che ogni interpretazione, di carattere preventivo, simbolico, magico, patologico, religioso, perfino sessuale o politico, del tabù delle fave, può avere fondamento e giustificazione, per il semplice fatto che “induce a pensare, a capire, a conoscere”. Del resto, è quello che egli stesso, in qualità di antropologo, ha fatto, “sfogliando” i vari significati e costruendo il suo quadro interpretativo “in corso d’opera”, fino a ritenere, ed affermare, che ogni tabù va posto “all’interno di una struttura globale di pensiero”, non studiato come un fatto isolato. Il pensiero pitagorico, strettamente legato alla filosofia, si riassumeva “nel dualismo che riflette la fondamentale opposizione fra bene e male, fra anima e corpo”. E’ qui che, secondo il prof. Sole, va rintracciato il “mistero” del tabù delle fave, che potevano essere impure, pericolose o demoniache quanto “buone da mangiare” e necessarie nella dieta di chi lavorava nelle campagne. Il maestro di Samo, attraverso le proibizioni, non faceva che infondere il senso del limite, proponendo agli uomini “un nuovo codice morale ed etico per stare nel mondo”. E ciò la dice lunga su come certe scuole di pensiero possano insegnare all’uomo di ogni tempo e, quindi, far riflettere anche l’uomo d’oggi. Un saggio interessante, dunque, per la molteplicità degli aspetti che offre, e che, per il suo carattere divulgativo, è destinato a fare presa sul lettore.
Assunta Scorpiniti
SCHEDA BIBLIOGRAFICA:
IL TABU’ DELLE FAVE.
Pitagora e la ricerca del limite.
Giovanni Sole
Rubbettino, pp.157, 8 Euro