Pubblichiamo, in maniera integrale, il contributo della deputata calabrese del Movimento Cinque Stelle, Vittoria Baldino, alla discussione sulla conversione in legge del Decreto Calabria che si è svolta lunedì scorso, 12 dicembre, in Parlamento.
Gino Strada
“A volte è più facile aprire un ospedale a Kabul che qui”, diceva Gino Strada nella chiosa del suo ultimo libro “Una persona alla volta” a proposito della sanità calabrese. Della sanità pubblica calabrese. Il compianto fondatore di Emergency si era soffermato sulla situazione dell’ospedale di Cariati, uno dei 18 ospedali chiusi con il piano di rientro del 2009, senza alcuna valutazione delle condizioni del territorio, del fabbisogno sanitario della popolazione, dei tempi di percorrenza verso i principali ospedali.
Calabria
18 ospedali chiusi in una Regione che per la sua condizione morfologica rende assai difficoltoso agli abitanti delle aree collinari e montuose, che rappresentano circa il 90% del territorio, raggiungere i presidi ospedalieri più prossimi (si pensi, ad esempio, che per alcuni paesi del crotonese, sarebbe più agevole raggiungere l’ospedale di Cariati che quello di Crotone, ma l’ospedale di Cariati è chiuso e quindi tutta l’utenza, anche quella dei paesi confinanti della provincia di Cosenza si riversa sull’ospedale di Crotone, attraversando la statale 106, ormai nota a quest’aula e a tutti noi).
18 ospedali chiusi in una Regione dove 22,6% della popolazione è composta da persone che hanno più di 65 anni.
Cariati
L’ospedale Vittorio Cosentino di Cariati viene ormai assunto ad esempio di scuola del paradosso della sanità calabrese: un presidio ospedaliero di eccellenza, perfettamente funzionante, 13mila metri quadri, 120 posti letto e i bilanci in ordine, con un bacino di utenza di 80mila persone che nei periodi estivi giunge ad ospitarne oltre 300mila. Di Cariati ha parlato tutto il mondo, grazie ad un gruppo di cittadini uniti in associazioni e collettivi, che nel novembre 2020, in piena pandemia, ha occupato la struttura per chiederne la riapertura anche per far fronte all’emergenza sanitaria. Grazie al coraggio di questi ragazzi e ragazze, ma anche adulti, cittadini comuni, si sono susseguiti appelli da tutto il mondo per la riapertura del presidio, finanche Roger Waters ha lanciato un accorato appello per la causa, che è diventata una pellicola in riproduzione nelle sale cinematografiche di tutta Italia proprio in questi giorni. Una storia che parte da Cariati per raccontare il fallimento di un modello economico, il modello del neoliberismo e dell’austerità, che è giunto a monetizzare ogni aspetto della vita umana, riducendo i diritti costituzionali alla stregua di mere dichiarazioni di intenti, al servizio delle ciniche logiche di mercato.
Corte dei Conti
Eppure nel corso di un’audizione della Corte dei Conti, del 27 ottobre 2021, presso la Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, abbiamo appreso che il sistema sanitario non è in grado di garantire su tutto il territorio nazionale un’assistenza uniforme e per qualità e per quantità. Secondo la Corte la spesa sanitaria corrente riconosciuta al Sud è arrivata a toccare i 2.046 euro pro capite, mentre al Nord è arrivata a toccare 2.152 euro. Ogni cittadino del sud ha percepito in meno rispetto ad un cittadino del nord 106 euro. Che significa per il sud contare su 2,2 miliardi in meno.
Art 32
E poco importa se l’art. 32 della Costituzione considera il diritto alla salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, a prescindere dal luogo in cui si nasce.
E poco importa se la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale annovera tra i principi ispiratori l’universalità, l’uguaglianza e l’equità, da garantire su tutto il territorio nazionale.
Mobilità sanitaria
Sono principi rimasti lettera morta perché di Cariati ne è disseminata la Calabria, una terra che sembra non avere più voce, che sembra rassegnarsi ad una condizione di disagio che induce molti figli di questa terra alla triste parabola della migrazione sanitaria in favore della sanità privata oppure delle regioni del nord, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte: si pensi che nel 2019 i calabresi hanno speso 221 milioni di euro per curarsi fuori dalla propria regione.
A chi giova la mobilità sanitaria? Forse la risposta l’abbiamo in qualche dato: uno, per esempio, di dice che il 13% degli interventi per curare il tumore al pancreas dei calabresi è stato condotto in una struttura privata veneta. Un altro invece ci dice le case di cura private nel 2019 hanno incassato circa 1,6 miliardi di euro.
Questi numeri, colleghi, hanno un volto e hanno un nome: penso ad Antonio che da Rossano per ottenere un trapianto di rene ha dovuto andare fino a Marsiglia e dove a Marsiglia ha dovuto tornare per i controlli periodici perché non solo la Calabria ma l’Italia non consentivano di offrire il servizio richiesto e tutt’ora l’ospedale di Rossano è sprovvisto del reparto di nefrologia. Penso a Denise che per una diagnosi per disturbi dell’apparato digerente ha dovuto rivolgersi ad una struttura di Milano. Penso a Stanislao e Daria, che per curare il loro piccolo Pieremilio di soli 6 mesi, si recavano periodicamente a Roma e dove sull’autostrada di ritorno da uno di quei viaggi, hanno trovato la morte. Una famiglia distrutta per un diritto negato.
Ma come e perché si è arrivati fin qui e come e quando potremo uscirne e vedere finalmente la luce e vedere finalmente rispettati i nostri sacrosanti diritti costituzionali?
Patto di stabilità e crescita
Nel 1997 l’Italia aderisce al Patto di Stabilità e Crescita europeo che mira al controllo delle politiche di bilancio pubbliche e si attua attraverso il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit ed i debiti pubblici al fine di mantenere fermi i parametri di accesso degli Stati membri richiedenti nell’Eurozona, i famigerati parametri di Maastricht che hanno di fatto cambiato il paradigma della spesa sociale in Europa. In esecuzione di questo accordo, la legge finanziaria del 1998 ha introdotto il “patto di stabilità interno” con cui le amministrazioni decentrate dello Stato, nel quadro del federalismo fiscale, sono tenute a rispettare gli obiettivi di finanza pubblica contrattati dall’Italia in Europa nell’ambito del Patto di Stabilità. Questo sistema di monitoraggio ha riguardato anche i disavanzi sanitari da qui l’istituzione dei Piani di Rientro.
Piani di rientro
L’istituzione dei piani di rientro è dovuta all’incapacità delle regioni di scongiurare l’indebitamento nella gestione del proprio servizio sanitario: agli inizi degli anni 2000 il disavanzo accumulato era pari ad oltre 40 miliardi di euro. Una mole di debito non più sostenibile per l’Italia dell’Eurozona, bisognava razionalizzare e in fretta.
Titolo V
Erano gli anni della riforma del titolo V della Costituzione che ha allargato le maglie della competenza concorrente tra Stato e Regioni in materia di tutela della salute. Da allora allo Stato compete determinare i principi fondamentali che le Regioni sono tenute a rispettare nella gestione autonoma della sanità nell’ambito territoriale di propria competenza, avvalendosi delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere. Le Regioni destinano alla sanità oltre l’80% dei propri bilanci.
Finanziaria 2005
La prima legge finanziaria che ha inciso significativamente sui piani di rientro fu quella del 2005 che ha imposto alle regioni con un disavanzo pari o superiore al 7% di procedere alla ricognizione delle cause del disavanzo e di elaborare un programma operativo di riorganizzazione, razionalizzazione e potenziamento del servizio sanitario regionale della durata massima di 3 anni, con la penalità per le regioni inadempienti del riallineamento con le esigenze di finanza pubblica, di non vedersi erogato il maggiore finanziamento per il ripianamento del disavanzo.
Ma non solo questa era la ratio dei piani di rientro, non solo esigenze di allineamento ma anche un riequilibrio del profilo di erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza: in poche parole in base ai piani di rientro le regioni dovevano rientrare del debito accumulato e al contempo garantire il livelli essenziali di assistenza nell’erogazione del servizio sanitario pubblico.
Patto per la Salute
Nel 2006 venne siglato il primo Patto per la Salute tra il Governo e le Regioni e da allora il sostegno finanziario alle regioni in difficoltà è stato effettivamente subordinato alla previa sottoscrizione del piano di rientro. La Calabria entra nel piano di rientro nel 2009 e nonostante i piani siano stati concepiti come soluzioni temporanee ed eccezionali, la nostra Regione soggiace a questa perdita di sovranità ancora oggi, sono passati 13 anni.
Commissariamento
La nomina del commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro è intervenuta soli 8 mesi dopo, preso atto dell’incapacità della Regione Calabria di rispettare il piano. Fu allora che il primo commissario ad acta nominato, il Presidente della giunta regionale Scopelliti decise di sopprimere 18 ospedali. Da allora si sono susseguiti altri 6 commissari, due decreti legge ad hoc che ne ampliavano i poteri per consentire loro di gestire al meglio i propri compiti e attualmente la funzione è tornata nuovamente in capo all’attuale Presidente della Regione Roberto Occhiuto. Sono passati 12 anni, il debito non è stato appianato, i livelli essenziali di assistenza non sono rispettati e assicurati, sono state sciolte per infiltrazioni mafiose due aziende sanitarie provinciali, Catanzaro e Reggio e i cittadini calabresi continuano a non capire perché in Calabria si muore di malasanità.
La storia della sanità calabrese è la storia del fallimento della stagione dell’austerità che si ripercuote in tutto il territorio nazionale: il recente rapporto OCSE sulla spesa sanitaria ci colloca sotto la media europea, in ripresa rispetto agli anni pre Covid dove l’Italia si collocava come fanalino di coda in Europa, con un gap vertiginoso rispetto ad alcuni Paesi come Francia e Germania. Anche se, tuttavia, il nostro sistema sanitario, continua ad essere considerato come fonte di ispirazione da tutto il mondo, grazie anche all’elevata professionalità del nostro personale sanitario.
Covid
La debolezza e la farraginosità di un sistema potenzialmente efficiente ma che sconta decenni di tagli scellerati e immotivati si è palesata durante la pandemia, in particolare il sistema sanitario calabrese ha dimostrato tutta la sua inefficienza: scongiurato dalla prima ondata, nel corso della seconda ondata la Calabria è stata una delle prime regioni ad essere dichiarata zona rossa, e non per il numero di contagi o di terapie intensive attivate ma per l’esiguo numero di posti letto disponibili in terapia intensiva.
Decreto Calabria ter
Cosi si è arrivati fino a qui e oggi siamo chiamati a discutere della conversione in legge di un decreto che parla di Nato, di Commissioni presso l’Aifa, e anche del servizio sanitario calabrese. In sostanza siamo chiamati a discutere di un provvedimento che mette insieme materie totalmente estranee l’una con l’altra, ma che in comune hanno una cosa: l’essere considerati straordinariamente necessari e urgenti. Dopo 13 anni di piano di rientro e 12 di commissariamento la Calabria è ancora in emergenza sanitaria.
E questo provvedimento arriva in aula per prorogare di altri sei mesi, perché 12 anni sono pochi, il commissariamento della sanità calabrese, ma senza aver avuto la possibilità di ascoltare l’attuale commissario alla sanità calabrese nonché Presidente della Regione. Senza addirittura il riconoscimento che conclusi questi sei mesi di proroga, il Parlamento possa apprezzare gli sviluppi, gli obiettivi raggiunti, lo stato di avanzamento dei servizi sanitari calabresi, perché i nostri emendamenti in questo senso in commissione sono stati respinti. Prendiamo atto del fatto, dunque, che siamo davanti ad un Governo, che se nella scorsa legislatura si è eretto a paladino della trasparenza, contestando aspramente la gestione, a suo dire e in maniera totalmente strumentale, poco trasparente durante la pandemia, ma oggi di fatto impedisce al Parlamento di confrontarsi con il presidente Occhiuto sui risultati raggiunti durante il suo anno di mandato quale commissario ad acta della sanità calabrese.
Sarebbe stato interessante, ad esempio, capire come il commissario intende risollevare le sorti del servizio sanitario calabrese attraverso la nuova struttura di governance: ovvero Azienda Zero. Una struttura presentata in tutta fretta come la panacea di tutti i mali ma che oggi a distanza di un anno dalla sua istituzione, stenta addirittura ad entrare in regime. Una super azienda costosa, pagata dai calabresi, che si vuole accentratrice dei poteri in materia di sanità, tanto da sostituirsi, in diverse funzioni, alle aziende sanitarie e ospedaliere e al dipartimento regionale tutela della salute.
Una super struttura che ad oggi, però, è ancora ferma ai box, oggetto di almeno 4 modifiche, e altre se ne attendono, per adeguarla alla normativa statale in materia.
Eppure oggi discutiamo di proroga del commissariamento, senza che il provvedimento in esame, faccia alcuna chiarezza sul ritorno ad una gestione ordinaria. Questa proroga, di fatto, si accompagna ad un silenzio che rischia di fare tanto rumore, su un commissariamento che sembra destinato a proseguire. Invece dobbiamo e vogliamo capire con quali modalità e tempistiche la Calabria uscirà dal commissariamento per tornare ad una gestione ordinaria.
Eppure oggi discutiamo di proroga di misure eccezionali, per garantire al sistema sanitario della Calabria, il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e il raggiungimento degli obiettivi fissati nel programma operativo di riorganizzazione.
Sarebbe stato utile un confronto con il presidente di regione, se non altro per il senso di responsabilità collettiva che la politica deve assumere nei confronti dei calabresi, alle prese con 12 lunghi anni di commissariamento.
Perché la sanità pubblica va protetta, va salvaguardata, soprattutto dalle logiche di mercato, che sono inaccettabili e che sono le precipue responsabili, di questa situazione di emergenza, insieme all’incapacità e all’inadeguatezza della classe politica regionale, che ha lungamente utilizzato la sanità come bancomat e che non ha esitato a sfruttare la politica sanitaria con logiche clientelari per accaparrarsi grosse sacche di consenso, a discapito dei calabresi.
Governo M5S
Il MoVimento5Stelle, appena arrivato al governo, con la prima legge di Bilancio, ha portato il livello del finanziamento al Servizio sanitario nazionale a 114 miliardi e 451 milioni di euro, prevedendo un ulteriore incremento di 2 miliardi per l’anno successivo.
Abbiamo previsto un piano per la riduzione delle liste di attesa e per la ristrutturazione degli ospedali. Nel 2019 il fondo è passato da 24 a 28 miliardi.
Con la Legge di Bilancio 2020 abbiamo confermato l’incremento previsto di 2 miliardi per il Fondo Sanitario nazionale, a cui abbiamo aggiunto altri 2 miliardi per l’edilizia sanitaria. Abbiamo abolito il superticket a partire da settembre 2020: la quota di partecipazione dei cittadini al costo delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale. Era stato introdotto, nientemeno che dal governo Berlusconi nel 2011 come tassa aggiuntiva non obbligatoria. Doveva essere temporanea, si è rivelata un ostacolo all’accesso alle cure.
Oggi, invece, ci troviamo nei fatti di fronte ad un taglio delle risorse destinate alla sanità e ad una manovra che destina appena 2 miliardi alla sanità, in gran parte destinati al caro energia. Oggi si iverte un trend positivo avviato con i Governi Conte 1.
Bilancio
Dodici anni di commissariamento e piani di rientro, di quanto si è risanato il debito? Di poco più di 6 milioni. Da un disavanzo di 104 milioni di Euro del 2009 oggi si è passati ad un debito di 98milioni secondo gli ultimi dati disponibili. Quanti dei 18 ospedali pubblici sono stati riaperti? Nessuno, ad oggi. E non va meglio agli ospedali rimasti aperti, ieri come oggi al collasso per la sempre maggiore affluenza di pazienti, per il blocco del turnover che ha piegato e piega personale sanitario ridotto del 19% in dieci anni e ormai allo stremo.
Insomma la loro chiusura non ha portato alcun beneficio finanziario. Un risultato si l’ha prodotto però: i livelli essenziali di assistenza secondo l’ultima rivelazione si attestano sul punteggio di 125, appena sotto la soglia minima di 160.
Insomma, da un lato abbiamo il fallimento del commissariamento della sanità regionale e di una riforma che ha spezzettato la nostra sanità in 20 sistemi diversi e poco uniformi, dall’altro, più grave, abbiamo il fallimento dei governi regionali che hanno usato la sanità come bancomat. Eh si perché l’aumento della spesa pubblica sanitaria, e la Calabria non fa eccezione, è avvenuto tra il 2000 e il 2010, anno in cui la spesa ha raggiunto i 113 miliardi.
Oltre la Calabria attualmente abbiamo 6 regioni commissariate. Sei regioni alle prese con il controllo della spesa e la compressione del diritto alla salute. Si è creato così un Paese a due velocità. Con buona pace della legge 883 del 1978 che ha istituito il servizio sanitario nazionale, che lo vorrebbe universale, uguale ed equo.
Conclusione
Allora torniamo alle parole di Gino Strada e a quanto sia difficile riaprire un ospedale in Calabria, a volte più difficile farlo qui che a Kabul. Noi abbiamo il dovere di smentire con i fatti le conclusioni cui era arrivato alla fine della sua vita. E con assoluta necessità ed urgenza abbiamo il dovere di ridare centralità al servizio sanitario nazionale, perché il diritto alla salute sia garantito a prescindere dal luogo in cui si nasce. Perché la sanità privata deve integrare quella pubblica, non sostituirla.
In conclusione, pur comprensibile la necessità di prorogare in Calabria il commissariamento per ripristinare i livelli essenziali di assistenza, oggi non possiamo non rilevare i difetti propri del regionalismo sanitario, perché con coraggio si guardi ad una sua trasformazione.