Verso le Europee: intervista a Pasquale Tridico, candidato con il Movimento Cinque Stelle. “La mia proposta è introdurre un reddito minimo universale”
di Maria Scorpiniti (“Il Quotidiano del Sud” 27 maggio 2024)
A sentirlo parlare, emerge subito l’economista che ha guidato il più importante Istituto di Previdenza Sociale italiano negli anni convulsi della pandemia. Ma ancor prima, in Pasquale Tridico, 49enne di Scala Coeli, centro collinare della Sila Greca, emerge l’umanità che gli deriva dall’umiltà delle sue origini. Tra i più grandi economisti italiani, è candidato alle Europee per il Movimento Cinque Stelle. Con un sogno: creare un’Europa più inclusiva ed equa.
Capolista nel collegio Sud per il M5S alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. Uomo di fiducia del presidente Conte, a quanto pare tra i più quotati. Cosa l’ha spinto a scendere in campo?
«Ho sempre avuto un grande interesse per le questioni UE. Sono professore ordinario di politica economica, ho una cattedra Jean Monnet all’Università di Roma Tre e sono direttore di un centro di ricerca di eccellenza finanziato dall’UE Labour Welfare and Social Rights. Oggi in UE si produce l’80% della normativa che regola la vita degli italiani e di tutti gli europei in modo fondamentale. Tuttavia abbiamo costruito l’Europa della moneta, della finanza e dei mercati, ma abbiamo dimenticato la cosa più importante: l’Europa Sociale, l’Europa dei diritti di cittadinanza, dei diritti sociali. Mi candido per dare un contributo all’interno di questa dimensione, che è il mio campo di studio e di lavoro, con la proposta di un reddito minimo europeo universale».
Alcuni Stati, come la Germania, hanno già uno stato sociale che funziona. Qual è a sua idea di Europa sociale e in cosa consiste la sua proposta di Reddito minimo europeo?
«L’Europa sociale è la traduzione concreta della storia e della cultura che ci unisce come cittadini europei, fatta in primo luogo di solidarietà cristiana e di conoscenza, sviluppo e coscienza dei diritti. Noi vogliamo introdurre un reddito minimo universale, concepito come un dividendo sociale, destinato a tutti i cittadini europei che nei vari Paesi membri si trovano al di sotto della soglia di povertà relativa. Per questo occorre un altro sistema fiscale, con un bilancio comune più vicino al cinque per cento, in modo da consentire una gestione collettiva degli shock economici tra i vari Paesi e una tassa unica sul capitale, per evitare nella eurozona il fenomeno sleale di competizione tra stati membri per attrarre aziende e capitali. Manca una gestione comune delle crisi, come abbiamo osservato durante la pandemia da Covid, ma non nelle crisi finanziarie precedenti».
Lei è un fine economista, ma non ha mai dimenticato le sue radici, l’infanzia vissuta a Scala Coeli, piccolo centro collinare della Sila Greca. Che rapporto ha con il suo paese?
«Sono figlio dello Stato sociale. Quella della mia famiglia è una storia che parla di Sud, di una famiglia di sette fratelli, cinque dei quali emigrati al Nord, di una mamma casalinga e un papà guardiano di mucche sordomuto. È una storia di emancipazione, realizzatasi quando la politica governava l’economia. Questo porto in Europa, così come l’esperienza da manager pubblico della più grande azienda pubblica del paese, INPS, con il bilancio più grande d’Europa, pari a 800 mld di euro tra entrate e uscite. Una istituzione pubblica che ha salvato il paese durante Covid (con 16 mln di utenti in più raggiunti rispetto ai 42 mln di utenti che Inps raggiunge ordinariamente tra pensionati e lavoratori), la più grande crisi economica in tempo di pace, con una gestione efficiente, 12mila assunzioni di giovani laureati tra il 2019 e il 2023, una trasformazione tecnologica senza precedenti e un lascito nel 2023 di 7 miliardi di euro di attivo in bilancio».
Da uomo di sinistra ad iscritto al partito di Conte. Ci vuole spiegare questo passaggio?
«Sono convinto che la sinistra sia di chi faccia cose di sinistra, non di chi dice di esserlo e poi fa politiche di destra, come è successo nel nostro paese. Negli ultimi 30 anni abbiamo avuto il declino della quota lavoro sul reddito, abbiamo reso il mercato del lavoro sempre più precario e abbiamo fatto il Jobs Act, con l’abolizione dell’articolo 18. Quando il M5S è arrivato al governo nella scorsa legislatura ha fatto le cose più di sinistra degli ultimi 30 anni, con il Reddito di cittadinanza che distribuiva 8 miliardi di euro al 20% più povero della società, con il Decreto dignità che contrastava per la prima volta la precarietà, e con una proposta di salario minimo legale che spingeva i salari verso l’alto. A questi tre provvedimenti anche io ho dato un contributo fondamentale. Ed ha fatto politiche espansive e keynesiane, soprattutto durante il Covid, che hanno salvato il paese».
Il Movimento Cinque Stelle è nato nel 2009 per favorire la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica. Negli anni è cresciuto e alle elezioni politiche del 2018 è risultato il partito più votato. Poi, nel 2022, il calo dei consensi e l’ascesa di Giorgia Meloni e della destra. Qual è la sua lettura e come vede, in tale contesto, il futuro del movimento?
«Il primo governo Conte cadde per la slealtà politica del vicepresidente Salvini, che, dopo le Europee del 2019, si era convinto di poter governare il Paese a seguito di nuove, auspicate elezioni. Salvini fece male i conti, il Parlamento tenne e si formò un altro esecutivo. Non dimentichiamo che, a distanza di qualche mese, il secondo governo Conte si trovò a fronteggiare l’emergenza pandemica, ad assumere decisioni, talvolta impopolari, per tutelare la salute e insieme l’economia, spesso in tempi ristretti e con dati parziali. Ciononostante, Conte, e con lui la rappresentanza parlamentare del Movimento, servì l’Italia con evidenti risultati e senso di responsabilità, come dimostrano il livello dello Stato sociale di allora e gli oltre 210 miliardi del Recovery Fund ottenuti. Poi le agitazioni in Parlamento portarono alla formazione del governo Draghi. Lì le strade erano due: controllare i processi decisionali o tirarsi fuori. Il Movimento scelse la prima, perché la seconda avrebbe comportato la fine delle politiche a favore della giustizia sociale, dell’ambiente e della lotta alla corruzione. Difatti, con l’avvento del governo Meloni, l’indirizzo politico è stato da subito opposto a quello dato da Conte e sostenuto dal M5S: sul Reddito di cittadinanza, sulle tutele per i lavoratori, sulla magistratura, sul sostegno dell’edilizia, eccetera. Il futuro del Movimento è quello di una forza politica che, con la partecipazione e la collaborazione di chi ci crede, vuole cambiare la politica rendendola più forte delle logiche clientelari e delle dinamiche del capitalismo finanziario, orientandola verso la persona umana come centro dell’azione».
Nel periodo in cui ha guidato l’Inps, dal 2019 al 2023, si è mostrato attento alle fasce deboli e forte con i forti. È stato l’ispiratore del Reddito di cittadinanza, una misura contestata e quasi smantellata dal Governo Meloni, ma utilissima nel periodo della pandemia. Ora non ci sono più poveri? O sono diminuiti?
«I poveri ci sono sempre, purtroppo, e sono aumentati con l’abolizione del Rdc toccando il record storico di oltre 5,7 mln di persone in povertà assoluta oggi. Il problema non è soltanto la povertà economica, che è tremenda, perché comprime la libertà individuale e sbarra l’orizzonte a chi la vive. Il problema è la precarietà esistenziale che oggi esiste e si estende per via del dominio del mercato globalizzato e selvaggio. Davanti alla povertà economica e alla precarietà esistenziale, i neoliberisti non danno risposte, perché per loro si tratta di condizioni ideali all’aumento degli extra profitti, degli utili da sfruttamento. Noi, invece, siamo diversi, come M5S, perché vogliamo combattere entrambe le forme di povertà con misure concrete volte a restituire dignità alle persone, dal salario minimo per alzare i salari bassi al decreto dignità per contrastare la precarietà del lavoro».
Un grande tema, oltre che un fronte aperto, è quello dei migranti. Dopo la tragedia di Cutro, da più parti si evidenzia il fallimento dell’Europa nelle politiche di accoglienza. Cosa pensa e cosa propone a riguardo?
«È un altro aspetto dell’orientamento della politica verso la persona umana, di cui ho detto prima. Purtroppo, dei migranti ci si accorge e si parla soltanto davanti a tragedie immani come quella di Cutro. Spesso si dimentica che migranti sono stati i nostri nonni e i nostri parenti, alcuni dei quali morti in miniera, altri in mare, altri comunque all’estero. Bisogna rivedere la Convenzione di Dublino, indipendentemente dai richiami, che comunque hanno un peso, già fatti dall’Ecre e dall’Unhcr. Penso anche a un nuovo finanziamento delle politiche dell’accoglienza, ma a livello europeo e a gestione europea. Su questi temi prioritari ci si dovrà confrontare nella prossima legislatura del Parlamento Ue».
Ponte sullo Stretto. Una tematica che divide. Quale la sua posizione in merito?
«Un’opera inutile, tecnologicamente insostenibile, con un impatto ambientale devastante e non prioritaria, dato lo stato delle infrastrutture e dei trasporti nel Mezzogiorno, considerate le condizioni di mobilità e viabilità nelle singole regioni meridionali. Peraltro, l’aspetto molto grave è lo scippo, per finanziare l’opera, di parte delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione spettanti alla Calabria e della Calabria, con il silenzio dei presidenti di Regione. Il Sud va invece collegato per intero. Io immagino una metropolitana leggera di collegamento all’interno del triangolo tra Bari, Napoli e Reggio Calabria da realizzare con fondi Ue. Noi calabresi sappiamo bene che abbiamo strade insicure e inadeguate, soprattutto lungo la costa ionica e nelle aree interne. Ben altre sono le priorità se abbiamo la disponibilità di 15 miliardi di euro».
Carenza di infrastrutture nel Basso Jonio cosentino e pericolosità della SS106. Da terzo mondo.
«Non solo. Se l’Alta velocità ferroviaria passerà dal Tirreno, nel futuro prossimo l’area ionica soffrirà una grossa crisi economica e avrà un forte spopolamento. Mi domando, allora, che senso possa avere la fusione tra l’ospedale e il policlinico universitario di Catanzaro, se tutto lo sviluppo, a partire dalle infrastrutture più importanti, sembra pensato lungo il Tirren
La Sanità in Calabria è commissariata dall’era Scopelliti, che nel 2010 ha chiuso ben 18 ospedali. Tre di questi, tra cui Cariati, stanno riaprendo. Ma la migrazione sanitaria verso le regioni del Nord continua.
«Il punto è che Scopelliti ratificò un disegno realizzato a tavolino a livello centrale, intanto dall’Agenas. La verità è che le reti dell’assistenza ospedaliera e dell’assistenza territoriale sono le stesse di 14 anni fa, perché non è passato il principio della specificità del territorio calabrese e delle necessità della sua popolazione. La migrazione sanitaria verso Nord continua perché il Fondo sanitario è ancora ripartito, dal 1999, con un criterio, quello del calcolo della popolazione pesata, che ha finora sottratto alla Calabria più di tre miliardi e mezzo di euro, a conti fatti. E la verità è che manca il coraggio di riprogettare le reti assistenziali secondo le caratteristiche del territorio calabrese: clima, strade, dati epidemiologici. Inoltre, la meritocrazia e le capacità tecniche e organizzative non sono valorizzate, ma questo è più un problema regionale, tuttavia enorme».
Un anno fa, gli sversamenti di percolato fuoriuscito dalla discarica privata di Scala Coeli, suo paese d’origine, autorizzata dalla Regione nonostante le proteste. Questo mentre l’Europa incentiva la transizione ecologica e l’economia circolare, e l’Onu con Agenda 2030 lo sviluppo sostenibile. Non le sembra un controsenso?
«È un controsenso, da contrastare in tutti i modi. Va anche detto che le Regioni hanno poteri autonomi e che la Calabria non ha mai saputo riorganizzare i servizi fondamentali su rifiuti, bonifiche, acqua e trasporti».
Lei è un fine economista, ma non ha mai dimenticato le sue radici, l’infanzia vissuta a Scala Coeli, piccolo centro collinare della Sila Greca. Che rapporto ha con il suo paese?
«Le radici non si possono dimenticare. Io appartengo a una famiglia umile quanto meravigliosa, da cui ho imparato il valore del sacrificio e delle origini, il senso e l’importanza della solidarietà. È a casa mia e con la gente di Scala Coeli che ho appreso quanto sia doveroso e bello spendere il proprio tempo e dare un contributo per il bene collettivo. Chi ha più strumenti conoscenze e competenze soprattutto ha il dovere di essere utile alla comunità, di battersi per ridurre le diseguaglianze economiche e sociali, per dare speranze ai giovani e assistenza agli anziani».
Cosa si aspetta dalle urne?
«Che vinca l’impegno puro per la comunità meridionale, che soprattutto dal Sud arrivi una critica forte a questo governo a trazione nordista e antimeridionale che ha anche rigurgiti postfascisti e autoritari, che limita i diritti civili e le libertà come l’aborto e si prefigge di dividere il paese con l’autonomia differenziata, portando un paese diviso in una Europa unita, che sarebbe una grande contraddizione, e che vinca chi vuole un Paese di persone libere e felici, in un’Europa dei diritti e della pace».
IL PROFILO DEL PROFESSORE PRESTATO ALLA POLITICA
Pasquale Tridico è professore ordinario di Politica economica e ricercatore presso l’Università Roma Tre, direttore del Centro di Eccellenza Jean Monnet Labour. Presidente INPS dal 2019 al 2023, è stato segretario generale dell’European Association for evolutionary political economy. Ha lavorato presso il Sussex University con una borsa Marie Curie Fellowship e presso Warsaw University a Varsavia. Vanta tre anni di ricerca in un progetto europeo a Trinity College di Dublino, New Castle University e Lancaster University. È stato visiting Research Scholar all’Università di Los Angeles; fulbright scholar presso la New York University; visiting professor alla Wroclaw University of Economics di Parigi, all’Università di Tecnologia di Vienna e alla Manchester Metropolitan University. Consigliere economico del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali (2018 – 2019), è autore di oltre 100 articoli, libri e curatele. L’ultima pubblicazione è “Governare l’economia per non essere governati dai mercati” (Castelvecchi, 2024).