Tridico (M5S) interroga la Commissione Europea sulle azioni da intraprendere a tutela della salute pubblica e dell’ambiente, e chiama alle responsabilità la Regione Calabria
SCALA COELI – Pasquale Tridico, capo delegazione del Movimento Cinque Stelle al Parlamento europeo, nella giornata di ieri ha presentato un’interrogazione alla Commissione europea sul caso della discarica sequestrata a Scala Coeli, in provincia di Cosenza. L’eurodeputato, originario proprio di Scala Coeli, vuole sapere, attraverso una risposta scritta, se la Commissione ravvisi «violazioni del diritto europeo in tema di salute pubblica e quali azioni intenda intraprendere a tutela delle popolazioni interessate». Chiede anche se la Commissione abbia avviato o voglia avviare apposito “monitoraggio Bat” (Best Available Techniques) e come valuta la politica della Regione Calabria sui rifiuti rispetto alle direttive dell’Unione Europea.
All’impianto di Scala Coeli sono stati apposti di recente i sigilli dopo che, all’esito di un’inchiesta della Procura della Repubblica di Castrovillari, sono emerse gravi violazioni ambientali per le quali cinque persone risultano indagate per il reato di disastro ambientale. L’atto di Tridico chiama in causa le responsabilità della Regione Calabria «nell’interesse – spiega – delle comunità locali, per salvaguardare la salute pubblica e l’ambiente in un territorio a lungo colpevolmente abbandonato». L’europarlamentare del M5S sollecita l’intervento della Commissione europea, a motivo «dell’ostinato immobilismo della Regione Calabria, anche tenuto conto che è stato già certificato il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione di ferro, manganese e solfati».
La vicenda parte da lontano, dal 2010, quando con il decreto n.4180 la Regione Calabria ha autorizzato la costruzione di una discarica per rifiuti speciali non pericolosi in località Case Pipino, Comune di Scala Coeli, tra le proteste dei cittadini, degli agricoltori e delle associazioni ambientaliste. In quella zona, si adotta il metodo della coltivazione biologica, con produzioni agroalimentari certificate, e resistono gli ultimi allevamenti di razza podolica, il tutto a pochi passi dagli affluenti del fiume Nicà che, tracciando il confine tra le province di Cosenza e Crotone, va a sfociare nel mare Jonio fra i comuni di Cariati e Crucoli Torretta.
Nel 2019, dopo diverse conferenze di servizio, con decreto n. 14284 la Regione ha autorizzato l’ampliamento dell’impianto. Tridico, nella sua interrogazione, sottolinea che tale autorizzazione è stata concessa nonostante «il rigetto alla sdemanializzazione delle aste demaniali da parte dell’Agenzia del Demanio, confermato dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (sentenza n. 94/2024); il parere negativo della Struttura Tecnica di Valutazione e del Dipartimento Agricoltura, superati tramite note discordanti e perizie di parte; l’assenza di autorizzazione sismica e la successiva realizzazione di opere abusive». Nel 2022, ricorda ancora Tridico, i conferimenti sono iniziati «in violazione delle prescrizioni AIA (Autorizzazione integrata ambientale), con accessi impropri attraverso il torrente Patìa e senza un impianto di trattamento del percolato funzionante».
Arriviamo al 22 giugno 2023, quando viene segnalata ai carabinieri la fuoriuscita di un ingente quantitativo di percolato dall’impianto che, in base alle indagini della Procura, si è riversato nei corsi d’acqua adiacenti, sfociando nel Mar Jonio. Legambiente e associazioni hanno parlato subito di “disastro annunciato” e i sindaci ionici sono stati costretti ad emanare ordinanze di divieto di balneazione e di uso dell’acqua in agricoltura.
La Procura sta seguendo con molta attenzione la vicenda. Lo scorso 29 ottobre è scattato il sequestro preventivo della discarica e 5 persone risultano indagate per il presunto delitto di disastro ambientale. Si tratta del Direttore dei Lavori che avrebbe concorso nel reato con altri soggetti (l’amministratore del tempo della società titolare della discarica, i due amministratori della società esecutrice dei lavori relativi all’impianto, l’amministratore della società che ha realizzato l’impermeabilizzazione dell’invaso). Qualche giorno fa, allo stesso Direttore dei lavori è stato applicato il provvedimento di misura cautelare del divieto di esercitare l’attività professionale di ingegnere, per la durata di 12 mesi.
Con il medesimo provvedimento, la Procura ha applicato un’altra misura cautelare nei confronti di un funzionario Arpacal, di sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio in relazione alla provvisoria imputazione di rifiuto di atti d’ufficio.
Le associazioni ambientaliste, intanto, hanno chiesto alla Regione Calabria la revoca definitiva dell’autorizzazione e la bonifica del sito contaminato. (M.S.)