Il 48enne di San Giovanni in Fiore aveva atteso per oltre tre ore l’arrivo di un’ambulanza col medico a bordo
COSENZA – «Basta morti per malasanità!». «Vietato ammalarsi». «Vietato poter vivere in Calabria». È questo il grido disperato del territorio e di un’intera regione che non può accettare passivamente quanto accaduto nei giorni scorsi al 48enne Serafino Congi di San Giovanni in Fiore, morto dopo oltre tre ore di attesa trascorse nel pronto soccorso silano in attesa di un’ambulanza col medico a bordo. L’uomo è poi deceduto durante il trasferimento verso l’ospedale di Cosenza.
Un’altra morte che sta suscitando una forte indignazione, in particolare nei centri dell’entroterra che si sentono costantemente non tutelati nel diritto alla salute e alle cure. A dare voce ai cittadini esasperati per un diritto negato da troppo tempo, sono in questi giorni i componenti dei movimenti “Addunati” di Lamezia Terme, “Colpo” di Paola, “Equosud” di Reggio Calabria, “I ragazzi di Scarcelli” di Fuscaldo, “La Base” di Cosenza, “Le Lampare” di Cariati, nonché i sindacati Usb di Catanzaro e Cosenza.
Nelle rispettive città, gli attivisti hanno esposto striscioni di protesta davanti agli ospedali e alle aziende sanitarie, invitando tutti ad aderire all’iniziativa e a mobilitarsi affinché la tragica morte di Serafino, che lascia due bambine, non sia vana e rappresenti «una linea oltre la quale nessun dirigente e nessun politico meriterebbe di restare al proprio posto».
Affermano infatti: «Quando scendiamo in piazza e puntiamo il dito contro una classe politica che ha demolito pezzo per pezzo la sanità pubblica, ci riferiamo ai responsabili della morte di Serafino. La risposta della comunità di San Giovanni in Fiore è stata importante e di esempio. In migliaia sono scesi nelle strade a protestare contro un sistema che genera disuguaglianze e precarietà. Quando denunciamo – continuano – la gestione criminale delle strutture sanitarie e protestiamo contro i tagli e contro la riorganizzazione della rete ospedaliera che hanno lasciato le zone periferiche come San Giovanni in Fiore prive dei servizi essenziali, individuiamo nei responsabili della morte di Serafino i veri colpevoli».
Attivisti e sindacati ribadiscono che la salute è un diritto fondamentale, non un privilegio per pochi, e nessuno si sentirà al sicuro fin quando la classe politica non sarà costretta a mettere la vita di tutte le persone al primo posto. «Anche la propaganda dei governi nazionale e regionale – dicono – si dissolve di fronte a una realtà di lutto e insicurezza. Abbiamo, come tutta la comunità calabrese, la sensazione agghiacciante che Serafino, con un servizio sanitario pubblico dignitoso, si sarebbe potuto salvare».
Nel rimarcare che la vita di ogni persona è un valore universale da tutelare e difendere con tutte le risorse e gli strumenti necessari, concludono: «È inaccettabile che, mentre la gente muore aspettando un’ambulanza, i soldi pubblici vengano destinati agli imprenditori della sanità privata per gonfiare la grande menzogna delle prestazioni convenzionate».